In una società sempre più multiforme, di corsa, con messaggi spesso confusi che ci portano fuori da noi, con ruoli che si sovrappongono e alcuni dominano su altri, dove è facile perdere di vista i propri bisogni e il senso del meritarsi, occorre una “connessione con sé stessi autentica”.

È nostra responsabilità trovare l’equilibrio fra le nostre parti, lasciar emergere i nostri talenti, onorare le nostre relazioni e trasmettere questo ai nostri figli.

Credo che ci auto inganniamo quando entriamo in un circuito di obiettivi, che ci portano fuori dal presente, in -corsa verso traguardi, che ci fanno spostare l’asticella sempre più in là. A volte questi obiettivi scatenano senso di frustrazione quando questi non si riescono a realizzare.
Questo accade quando quegli obiettivi non sono propriamente ecologici per noi, cioè qualche nostra parte interna sabota contro quello che diciamo di volere, cioè,  quando questi obiettivi stridono con alcune parti di noi.

Ormai sappiamo bene quanto sia importante chiarirsi su ciò che si vuole, farsi domande potenzianti, darsi obiettivi che rispecchino i nostri valori, fermarsi ogni tanto e comprendere se la strada che stiamo percorrendo è quella giusta e percepire ciò che sentiamo

In tutta onestà, credo che non esiste fallimento, esiste unicamente quando si pone un limite temporale a qualcosa.

Il nostro io non è così forte da accettare il fallimento in una cultura tutta proiettata verso la riuscita e il successo, altrimenti crediamo di “non valere”, veniamo misurati e ci misuriamo con i risultati, con quello che facciamo e che otteniamo.

Crediamo di essere liberi, in realtà la nostra esistenza è condizionata, da come ci poniamo, da come ci vestiamo e anche se, ci dichiariamo anticonformisti, è sempre una forma di riconoscimento nel non riconoscimento.
Lo stesso voler uscire dagli schemi è sempre uno schema.

Viviamo in una società dove si “va verso” …ma l’andare verso presuppone che siamo in avanti e se siamo in avanti non siamo nel presente.

Questo atteggiamento di non abbandono, di obbligare il corpo a sopportare situazioni che non vuole si traduce in stress.
Occorre superare l’ansia del cadere per poter gioire, il permetterci di sentirci vulnerabili e liberi.

Se nell’infanzia ho appreso che chiedere aiuto è segno di debolezza, svilupperò un’immagine per la quale occorre cavarmela da sola, quindi per non tradire questa immagine cercherò di nascondere la paura di non sentirmi all’altezza della situazione, costruendomi una corazza, perché cadere vorrebbe dire paura di andare a pezzi, di sentirmi sola, di perdere il controllo, di fallire, di non riuscire a rialzarmi, dell’ignoto, dell’impermanenza, del confronto.

Lo sbaglio così viene considerato come qualcosa di cui vergognarsi e da eliminare, quando sbagliamo ci sentiamo inadeguati, così per proteggerci mentiamo a noi stessi e poi agli altri.

Si ha la tendenza a dare “definizioni”, ma le definizioni sono “statiche”

Definire vuol dire escludere delle cose che dalla mia visione del momento posso non vedere, posso credere di volere alcune cose per le conoscenze che ho.
Quante volte ci siamo ostinati a voler ottenere qualcosa e poi al suo raggiungimento ci siamo detti “tutto qui!” non era come me lo ero immaginato.
La vita non è statica, non si “definisce” in confini e abitudini, la vita è movimento e quindi cambiamento.

Facilitare il cambiamento per me è portare equilibrio nel disequilibrio del caos della vita.

Occorre prendere consapevolezza che siamo Esseri olistici “tutto è connesso a tutto il resto”.

L’essere interi implica un equilibrio in tutte le nostre aree della vita, quindi non potremmo sentirci felici se ad esempio siamo realizzati nel lavoro, ma nelle relazioni siamo insoddisfatti o se dedichiamo tutto noi stessi alla famiglia ma nel resto ci sentiamo frustrati.

Va da sé, quindi, che l’intento è quello di farci riappropriare di un nostro sapere profondo, quello dell’ascolto di noi stessi e la differenza la fanno le piccole cose, a partire dai piccoli cambiamenti.
I grandi stravolgimenti, a volte si fanno fatica ad attuare e possono far paura, con il risultato che ci lamentiamo senza modificare nulla, quindi cominciamo con i piccoli gesti e azioni di tutti i giorni.
Potrebbe piacerci stravolgere la nostra vita, partire, trasferirsi, cambiare lavoro, relazione… e nella falsa attesa di questo non pensiamo a trasformare piccole parti di noi, nuovi punti di vista, nuovi approcci.

Ed è questo che invito a fare, nell’incontro con l’altro, nella “pratica esperienziale” e non nella teoria che lascia il tempo che trova quando si ritorna nella nostra quotidianità.

Credo che i percorsi di gruppo siano un’opportunità di crescita, una palestra per la mente e per le emozioni.

Con questa visione partono i miei percorsi con lo scopo di:

  • Stimolare la fiducia, ascolto interiore, accoglienza proprie emozioni.
  • Facilitare il maternage e paternage interiore, con il beneficio che attraverso il nutrimento di noi stessi ci poniamo verso le relazioni con amore incondizionato e non per colmare vuoti di mancanza.
  • Riappropriarsi di una sana relazione di coppia
  • Uscire da aspettative, strategie di comunicazione manipolatoria, acquisendo una sana comunicazione empatica
  • Acquisire il giusto approccio Linguistico, Emotivo e Comportamentale
  • Condividere tempo di qualità in famiglia
  • Incontrarsi e interagire con altre famiglie, durante le vacanze family esperienziali
  • Rivedere la direzione della nostra vita
  • Portare miglioramento nella vita di tutti i giorni, a partire dai piccoli pensieri, e quindi le più semplici azioni
  • Crei Amo relazioni: è creare relazioni d’amore

Da questa visione nasce l’idea di creare l’ Accademia di Coaching Relazionale  un percorso formativo che accredita coach professionisti, ma ancor prima un percorso di evoluzione personale.

Il percorso personale è il focus principale dell’ Accademia, in quanto quando si sceglie un percorso ciò che quasi sempre si guarda è il programma, i costi, ecc.. In pratica si fanno valutazioni e confronti, con l’obiettivo di cercare di acquisire nuovi strumenti per la professione.
In tutto questo però, ci si dimentica di un concetto importante:

Gli strumenti sono solo semi, e ciò che spesso si fa, è accumulare strumenti, cioè continuamente nuovi semi

Ma cosa fa la differenza ? E’ il terreno dove vengono piantati quei semi.

Il terreno è la nostra predisposizione, la nostra Attitudine, la capacità di Ascolto e spirito di Osservazione
Altrimenti continueremo a sprecare semi senza averne il beneficio di un buon raccolto.

Questa per me è la differenza fra FARE il Coach e ESSERE Coach

La Visione poi continua con la nascita del format delle Vacanze Family Esperienziali :

E’ l’occasione per sperimentare tutto questo, con lo scopo di migliorare la relazione con la propria famiglia.
E’ la vacanza che ti riporti a “casa” perché qualcosa di te, di voi migliorerà, da subito.
E’ la vacanza dove ci si mette in “gioco” attraverso il “gioco” e in questo i figli ci fanno da guida.

La vita, la sua qualità, si manifesta in ogni istante, ed è su quello che occorre essere nella Presenza.

Per fare ciò occorre semplicemente “Mettersi In gioco”.
Mettersi in gioco con noi stessi…giocando con i nostri figli.

E da qui la differenza fra Vivere House, che è l’edificio, le mura di casa. Cioè una vita impostata solo sull’ AVERE

E’ Vivere HOME, attraverso le nostre relazioni che definiscono l’ESSERE Casa. I AM HOME-IO SONO CASA.